Gonne e sciarpe

La passione per la qualità  sartoriale e per i pezzi unici l’ho ereditata dai miei genitori.

Mio padre non ha mai, e sottolineo mai, indossato un paio di jeans. Per i suoi vestiti è sempre andato dal sarto e continua ad andarci.

Mia madre per tutti gli anni ’60 e nei primissimi anni ’70 ha acquistato un numero relativamente  esiguo di abiti. Però erano solo alta moda e li conserva ancora tutti  nell’armadio.

Con l’avvento del pret à porter il numero di abiti acquistati è molto aumentato ma non ne ha conservato nessuno. I vestiti lunghi dopo qualche anno li faceva accorciare. Successivamente la gonna veniva staccata dal corpetto e usata separatamente. Infine, a seconda del tipo di tessuto, brandelli di quegli abiti erano usati per spolverare o per lucidare l’argenteria.

Questa sciarpa, benché immaginata da ZIOCHIC e realizzata sotto la sua supervisione, non è vendibile. Uno dei due pannelli da cui è composta era la gonna di un abito da sera anni ’80 di mia madre. Era destinato ad essere buttato. L’ho salvato, l’ho trasformato e lo posso usare solo io.

Carbag

I miei amavano i viaggi in auto. Avevano una spider con cui hanno girato per l’Europa.

La vettura, bassa e con assetto sportivo, aveva due strapuntini dietro.
In uno ero alloggiato io bambino. Nell’altro solitamente veniva sistemato un bagaglio che non era entrato nel minuscolo cofano posteriore. 

Recentemente in un angolo del garage ho ritrovato un borsone in tessuto scozzese e bordi di pelle nera.

Malconcio e acciaccato, era uno di quelli usati per le nostre peregrinazioni. Ho provato a rifarlo.

Ogni borsone da week end “Carbag” di ZIOCHIC è un pezzo unico, fatto in Italia, con tessuti spesso vintage.

Police

Tra le tante cose che raccolgo ci sono ombrelli e bastoni.

Mi serviva qualcosa che potesse contenerne almeno una parte.

Avevo una calotta in vetro di un’automobile della Polizia.

Così è nato Police.

Eredità e ricami

Mia nonna, in quanto femmina, non fu ritenuta degna dal padre di ereditare.

Quando lui morì alle due figlie non andò nulla se non una dote in danaro ed il corredo che loro stesse avevano richiamato. Però quest’uomo, nato nel 1870, deve avere avuto un rigurgito di coscienza. Pagò gli studi universitari ad entrambe rendendole intellettualmente progredite, professionalmente appagate ed economicamente indipendenti.

Senza volerlo fu un rivoluzionario per quell’epoca.

Mia nonna oltre ad insegnare italiano alle scuole superiori non smise mai di ricamare. Mentre mia madre mi aspettava ricamò, tra le altre cose, delle bavette da passeggio. Ancora il sesso del nascituro era un’incognita fino alla fine.

Quelle azzurre furono usate per me e mio fratello. Una di quelle rosa la uso ogni mattina come tovaglietta sul vassoio della prima colazione.

I parrucchieri servono

Nei primi anni ’90 i miei acquistarono un vecchio immobile che divenne casa nostra.

Al pianterreno alcune stanze erano state occupate da un parrucchiere.

Trovammo caschi per capelli, bombolette di lacca ed espositori per profumi.

I ripiani di cristallo degli espositori sono serviti da spunto per creare due comodini.

La lista nozze

Negli anni ’70 iniziò la terribile moda della lista nozze.

All’epoca se ne faceva una, in un negozio di articoli per la casa, che comprendeva argenteria, cristalli e porcellane.

Mia madre ha sempre detto che la lista è volgare.

Andava a vedere gli oggetti scelti. Uscendo dal negozio borbottava “non si è mai vista una pera portaghiaccio e poi è anche scomoda”. Si rivolgeva al suo fornitore e acquistava per gli sposi ciò che le piaceva.

Io assistevo e pensavo che la pera era proprio carina.

Questo pensiero è rimasto in letargo per 45 anni.

L’anno scorso, a zonzo per mercatini e robivecchi, mi sono imbattuto in una perona porta ghiaccio ed in una perina porta bonbon.

Un flash mi ha riportato bambino quando seguivo mia madre nelle sue grandi manovre.

Non ho potuto resistere dal comprare due pezzi da lista nozze anni ’70 regalati forse a coniugi che nel frattempo potrebbero anche aver divorziato.

Subconscio

Ogni mattina mi sveglio con l’impressione di aver sognato ma non ricordo cosa, tranne una volta. 

Nel dormiveglia mi ripetevo non dimenticarlo, non dimenticarlo!

Al risveglio disegnai un coffee table sul primo pezzo di carta utile. Dopo guardai il cellulare. 

Quel giorno era il compleanno di una persona a me cara che già non c’era più. 

Ho pensato che fosse stata lei a mandarmelo. Non ho potuto ignorare il regalo e ho fatto realizzare il prototipo. 

Turbamento e creatività

Tempo addietro raccontavo ad un’amica di come avessi trovato gli effetti personali di una sconosciuta nel cassetto di un mobile da un rigattiere. Stavo per comunicarle il mio turbamento quando mi accorgo del suo.

Inizia a raccontarmi della morte di sua mamma, un brutto male quando lei era appena maggiorenne e suo fratello adolescente. Di come lei non fosse mai riuscita ad aprirne gli armadi fino a pochi giorni prima. 

Del gran quantitativo di pezze di seta che aveva trovato, comprate nei viaggi o dal fornitore di fiducia e mai usate.

Incantato dal racconto quasi non sento l’ultima frase.

Demetrio hai detto che la tua creatività è uscita fuori, usala con le stoffe di mia madre!

Stasera quando mi accompagni a casa te ne darò qualcuna. Annuisco senza crederle ma è stata di parola.

Saranno delle bellissime sciarpe tranne quella nera che diventerà un poncho per lei.

Il raccoglitore

La persona che mi sopporta, e che mi supporta, da sedici anni dice che sono un raccoglitore. Non posso negare. Il problema è che a volte mi lascio suggestionare dagli oggetti che raccolgo.

Tempo addietro da un rigattiere c’era un settimino. La mia bisnonna Bianca ne aveva uno simile, solo un po’ più monumentale.

Mi avvicino apro un cassetto e resto senza fiato. Gli effetti personali di una signora erano ancora dentro. Reggiseni, rotoli di merletti per guarnizioni, biancheria.

Forse quando morirò i miei cassetti verranno rovistati allo stesso modo da mani estranee. Nel frattempo vorrei omaggiare una signora ignota che portava foulard di seta, scriveva la sua corrispondenza con penne stilografiche Aurora e guardava un libro di stampe sulla Campagna d’Italia di Napoleone.

Educazione musicale

Io e mio fratello abbiamo avuto un’educazione rigida. I nostri genitori hanno applicato ai figli, con qualche correzione, il modello di formazione che avevano ricevuto. Tale formazione comprendeva anche lo studio di uno strumento musicale.

In casa l’unico strumento presente era il pianoforte dell’epoca dei miei bisnonni per cui mia madre, molto prosaicamente, decise che entrambi lo avremmo studiato.

Un’insegnante veniva a casa a farci lezione benchè mia madre abbia il diploma di decimo anno di conservatorio e avrebbe potuto insegnarci lei. 
Noi due non eravamo molto portati, ricordo ancora come un incubo il solfeggio.  Il capitolo musicale fu archiviato ben presto con una certa frustrazione materna. Eppure ogni volta che vedo un pianoforte mi avvicino e provo a suonare la Marcia alla Turca di Mozart.

Senza successo, of course!