Sari indiani

Il bello, ed il brutto, dell’India è che non cambia. Non ci sono riusciti gl’inglesi e non ci riuscirà nessuno. 

Andai con due amiche nel 1998. Fu l’ultimo viaggio lungo fatto solo per piacere. La rigida educazione calvinista ricevuta non consente di passare troppo tempo a divertirsi e basta.

Furono 25 giorni in giro tra India, Nepal e isole Andamane. Quando tornai pensai che nessuna delle mie lamentele aveva senso. Non durò molto ma fu una bella sensazione.

Tra le tante cose che portai ci sono dei sari di seta che ancora non ho utilizzato. Di questo nella foto ne ho un’altro gemello.
Comprandoli, a Varanasi, avevo pensato di farci una tenda. Per un po’ uno dei due è stato messo su una parete a mo’ di arazzo. Da 16 anni erano stipati in un baule. Oggi li ho tirati fuori per farli vedere ad un’amica. 

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Riciclo cristallo ante litteram

Quando sono nato non eravamo stati ancora invasi dalla plastica. I bicchieri di carta erano previsti solo per le festicciole dei piccoli e mia nonna raccomandava alle figlie di conservare il cibo solo in contenitori di vetro. 

Era un’epoca in cui con un cocktail party come si deve si potevano ricambiare gl’inviti a pranzo ricevuti. 

Ovviamente il vasellame doveva essere all’altezza. I bicchieri erano solo di cristallo e per una riunione di 40 persone si arrivavano ad utilizzare anche 150 pezzi. 

I danni erano messi in conto ma si cercava di limitarli facendo riparare, ove possibile, i cristalli scheggiati. 

Mia madre ha sempre detto: non buttate i bicchieri, li faccio molare. 

I portacandela nella foto sono basi di bicchieri #rosenthal #baccarat #moser rotti nel corso di passati intrattenimenti casalinghi.

Una madre impegnativa

Mia madre è un’intellettuale, quello che le piace fare di più è studiare. Ha due lauree, la prima presa a ventun’anni la seconda dopo i settanta.

Nel frattempo è stata professoressa, moglie, madre, nonna, femminista, teologa, coordinatrice di gruppi per l’unità dei cristiani e non so più cos’altro. Ah dimenticavo, ha anche il diploma di decimo anno di pianoforte. 

Alla vigilia del matrimonio suo padre chiese: Eugenia come fai a sposarti? Non sai fare nemmeno un uovo!
Una delle caratteristiche del carattere materno è la competitività ed il gusto di vincere una sfida. Comprò un ricettario di Carnacina in 5 volumi.

Inutile dire che lo studiò a fondo. Una delle cose che le viene meglio è il soufflé. Questo piatto da forno di Porcelain de Paris negli anni si era rotto. 

Ora l’ho ritrovato e l’ho regalato a lei.

Come le madeleines di Proust

Gli oggetti che mi ricordano la mia infanzia sono come le madeleines per Proust. 

Il mio nonno materno aveva un carattere impossibile. Nascondeva i suoi sentimenti dietro una maschera autoritaria. A volte diventava anche collerico.

Se l’avessi avuto come padre l’avrei odiato, come nonno non avrei potuto avere di meglio. Mi sono sentito amato senza che mi si chiedesse nulla in cambio. 

Alla morte la sua casa, con tutto il contenuto, è andata al figlio maschio. Quando ho trovato queste tazze ho avuto un flash. Sono identiche a quelle che usava ogni mattina per il caffè.

Non ho potuto resistere. 

Art Deco e Big Jim

Ho una predilezione per i mobili italiani art deco e credo di sapere da cosa dipenda. Negli anni settanta i miei genitori, giovani e belli, avevano una vita sociale sostenuta. Uscivano ogni sera. 
C’era la serata del poker, quella del circolo del cinema, il teatro, le cene fuori con gli amici, la politica.
Io bambino passavo molto tempo a casa dei miei nonni materni. Si erano sposati nel 1935 e, a parte qualche pezzo antico, la maggior parte del mobilio era stata acquistata in quel periodo.

Per me quei mobili, pieni di cassettini, mensole e ripiani nascosti, erano il set ideale per i miei giochi. Nel mobile da toeletta di mia nonna ci avevo fatto la casa di Big Jim. I cassetti bassi della console nel corridoio erano diventati il garage delle macchinine.  Sarà per questo che quando ne trovo qualcuno l’emozione mi assale e non resisto alla tentazione. Tanto più che i mobili dei nonni sono andati tutti ad uno zio.
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Pazzo per le pezze 

Sono pazzo per le pezze o forse sono pazzo tout court. Solo così si può spiegare la compulsione con cui acquisto metri di tessuto. Prediligo il velluto ma anche il raso, lo shantung, il tweed, l’oxford …

Quando tornai dall’India dovetti acquistare un apposito bagaglio per stivare dieci sari di seta che ancora non ho utilizzato tranne uno che per un certo tempo divenne un arazzo lievemente imposing.

Stamane è stata la volta di metri 5,60 di velluto fucsia e di metri 6,40 di velluto operato beige e champagne. 

Dimenticavo, ho anche preso del camoscio giallo limone. 

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Dal parrucchiere 

L’anno scorso ho accompagnato mia suocera dal parrucchiere. Un signore che lavora ormai per hobby e che accetta solo le vecchie clienti.

Il salone è rimasto fermo a come era quando fu aperto sessanta anni fa. Entrando si ha una sensazione strana, come di essere sospesi nel tempo. 

Lascio la signora nelle mani del suo coiffeur e me ne vado imbambolato. Voglio tutto l’arredamento del negozio ma non so come fare. Quando torno a riprendere la congiunta le confesso le mie pene. 

Vedo cosa posso fare, risponde laconica. Dopo una settimana ricevo una telefonata. 

Dddemetrio, riconosco l’accento catanese, il signor Gianni mi ha detto che puoi andare a prenderti una sedia, quella rotta. Dice che quando smette ti dà la compagna. 

Dopo due mesi di restauro questo è il risultato. Un’avvolgente sedia nello stile di quelle prodotte dalla Società  Compensati Curvati, modello 127.

Aspetto con ansia che il signor Gianni si stanchi di cotonare capelli. 

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Lacrime di coccodrillo 

Nella mia instancabile ricerca di oggetti inusuali non resisto alla tentazione di comprare borse da donna vintage, preferibilmente di coccodrillo.

Non potendole usare le regalavo in passato a mia madre finchè un giorno non è sbottata. Non le posso usare, sembra che abbia riesumato cadaveri dall’armadio. 

Ho smesso di regalargliele ma continuo a comprarle. 

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A caccia

A Catania, la domenica mattina ci sono due mercatini. Il primo è sotto gli archi della marina a due passi da piazza duomo. È un po’ ricercato e tutti gli espositori sono aspiranti antiquari. Il secondo è in periferia all’interno del vecchio mercato ortofrutticolo. È il mercato dei poveri e gli espositori perlopiù svuotano cantine gratis e ne vendono il contenuto.

Una delle cose che più mi diverte è salvare dall’incuria piccoli tesori sepolti dalla polvere.
Qualche domenica fa, in un angolo remoto, sotto numerosi scatoli di giochi per bambini anni ’70 ho trovato questo splendido carrello anni ’50.

Legno di faggio tinto all’anilina e lucidato. Ruote, supporti e viti in ottone. Ripiani in cristallo.
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Sheffield e Dinosauri

Della prima volta a Londra con i miei, nel 1973, ricordo meglio mia madre che comprava vecchi pezzi Sheffield nelle bancarelle di Portobello che non i dinosauri al British Museum. 

Da allora mi è rimasto il gusto di andare a scovare tesori nascosti, come questo piccolo  epergne. 

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